“Ciascuna azione genera una reazione di uguale intensità ma in direzione opposta”. Questo è il terzo appunto della Dinamica e sottolinea un principio che abbraccia ogni aspetto della nostra vita, compresa l’industria automobilistica elettrica, che potrebbe presto diventare il teatro di una competizione commerciale tra Europa e Cina.
L’Unione Europea ha lanciato il primo attacco a ottobre, quando la presidente Ursula von der Leyen ha annunciato un’indagine sugli incentivi forniti dall’industria cinese e dai suoi partner commerciali. A sua volta, la Cina si prepara a contrattaccare.
Una possibile risposta sarebbe quella di aumentare i dazi sulle importazioni dalla Cina dal 15% al 25%, come suggerisce Brad Setser, membro anziano del Council of Foreign Relations, un think tank specializzato in relazioni internazionali.
Nonostante i veicoli elettrici cinesi costino già il doppio in Europa rispetto alla terra d’origine a causa dei dazi doganali e di altre spese, nuove tariffe punitive potrebbero essere applicate a luglio aggiungendosi al 10% già in vigore.
Nel frattempo, la Cina ha già adottato alcune misure di ritorsione, come la riduzione delle esportazioni di grafite, un materiale fondamentale per la produzione delle batterie. Anche alcuni grandi produttori cinesi potrebbero reagire in modo ancora più pesante, non solo per vendicare i dazi imposti dall’Europa ma anche per rianimare un settore afflitto da un eccesso di offerta generato dalla guerra dei prezzi di Tesla e dalla riduzione degli incentivi.
La domanda ora è: chi ne trarrà vantaggio? Probabilmente nessuno. La protezione del “made in UE” potrebbe penalizzare i costruttori europei che operano in Cina, a meno che gli Stati Uniti, che hanno già alzato i dazi sui prodotti cinesi, si schierino dalla parte dell’Europa.
Una modifica normativa che garantisca le stesse condizioni alle case europee potrebbe fornire una risposta coerente e combinata a questa guerra commerciale.